Settore Adulti

… un piccolo, grande, mattoncino in più!

di Piergiorgio Mazzotta*

“Vi auguro di vivere un buon momento, un buon ritiro, che, soprattutto, possiate portare a casa qualche cosa, un mattoncino piccolo, che possa contribuire a costruire l’unità nella diversità in tutte le realtà che voi incontrate nella vostra quotidianità.”

E’ stato questo il saluto e l’augurio con il quale Suor Chiara, delle Clarisse Cappuccine, ha accolto, all’arrivo presso il Monastero della Trinità, tutti noi partecipanti al ritiro spirituale del Settore Adulti diocesano, in terra di Alessano, alla scuola di Don Tonino Bello.

Un vero e proprio tempo di Grazia, cominciato con il raccoglimento, in preghiera, proprio attorno la tomba del presule di Molfetta. Toccati fin nell’intimo, dalla paterna carezza della sua voce, con l’ascolto del commento al Salmo 8, ci si è sentiti subito, sì, poco meno degli Angeli. O, ancor di più, Basiliche Maggiori, come amava definire ogni uomo, Don Tonino.

Ce lo ha ricordato, commosso, suo fratello, Trifone Bello, anche lui presente, accanto a noi.

Col cuore palpitante si è, dunque, giunti al Monastero situato più ad est d’Italia. E palpitante, non solo per l’iniziale, spontaneo, sgorgare di emozioni, ma anche per la salita che si è dovuta superare.

Quella in auto o pullmino prima e quella a piedi, poi, fatta di scalini, stretti e lunghi, quasi a ricordarci che, al di là di tutto, ogni méta importante da raggiungere si trova in alto, o in cima, per dirla alla Don Tonino, e sta a noi sacrificarci per raggiungerla.

Una volta, però, all’interno della Chiesa Monasteriale, gremitasi all’inverosimile, il respiro ansante si è tramutato, presto, in un anelito di beato stupore frammisto a quel tanto, sempre, ricercato senso di pace e serenità interiore.

A primo impatto, per il “calore” dell’ambiente e della struttura in muratura, sormontata da capriate in legno.

Subito dopo, per la testimonianza di Suor Chiara, espressione di una comunità di suore che dimostra come sia possibile vivere insieme anche nella diversità più marcata, per età, per provenienza, per cultura, per gusti, per punti di vista.

Proprio come spesso capita a ciascuno di noi, che tante volte ci troviamo a percorrere tratti di vita, forse i più significativi ed entusiasmanti, accanto a persone che non ci siamo scelto.

Perché chi segue Cristo trova la comunione. Chi segue Cristo trova l’unità, perché Lui è al centro. Quando mettiamo Lui al centro, il resto trova il suo posto in maniera fluida, anche se non senza difficoltà.

A seguire, quindi, in un crescendo di emozione, per la familiare narrazione su Don Tonino espostaci dal Dott. Giancarlo Piccinni, suo alunno al Liceo Classico ed ora Presidente della Fondazione a lui dedicata.

Un racconto a braccio, tanto semplice e diretto quanto coinvolgente, del sacerdote, del Vescovo, del professore, della persona in generale, che fin da subito trasmetteva l’idea di essere eccezionale.

Un persona che parlava sempre di Dio, riuscendo ad entusiasmare ad ogni incontro, mai uguale ad un altro, mai ripetitivo, mai con i connotati della noia, ma sempre con quelli della novità.

Poiché Don Tonino, sia nel ministero sacerdotale, che in quello episcopale, ha sempre sposato i criteri della prossimità. Tutte le persone che incontrava erano suo prossimo e tutte le persone che lo hanno incontrato hanno conservato qualcosa di lui.

Innanzitutto perché incontravano una persona di un’enorme cultura, capace di passare dal latino al greco dalla filosofia alla matematica, in maniera sconvolgente, ma sempre con mitezza ed umiltà straordinarie.

Era una persona che quando si avvicinava a te, si avvicinava per chiederti non solo come stai, ma anche con la curiosità di capire cosa poteva da te imparare lui.

Che non giocasse con i suoi modi di fare, che fosse autentico, lo si riscontrava attraverso delle sue scelte importanti.

Prima fra tutte la scelta di libertà dal denaro. Come, per esempio, la volta in cui arrivò a non ritirare, per ben tre mesi, lo stipendio di professore. Quando sollecitato dal Preside dell’istituto, a sua volta sollecitato dal Direttore dell’ufficio postale, ritirò quei soldi, li utilizzò per abbonare tutti i suoi alunni del Liceo ad una rivista, affinché avessero, oltre al libro di testo, anche un’altra fonte di informazione, per capire che la verità ha sempre più risvolti, più facce.

In quell’occasione disse loro che essere uomini liberi era una cosa fondamentale per sé stessi e per il nostro Salento e che lo sarebbero diventati soltanto attraverso la fede e la cultura, gli unici due valori che nessuno potrà mai strappare o farsi strappare nella vita.

Una libertà dal denaro che per Don Tonino significava povertà in prima persona. Una condizione vissuta sin dalla nascita con dignità estrema e letizia francescana ed evangelica.

Ma c’è qualcosa di più. Per lui tale condizione di povertà era un privilegio, non un elemento di inferiorità. Diceva che poveri si diventa attraverso un itinerario lungo, così come si diventa medici, avvocati, ecc. Bisogna studiare per diventare poveri, bisogna soffrire, bisogna allenarsi. Però, è comunque quella condizione che ti fa vivere in empatia con Dio e con gli altri. Un’empatia che lui alimentava pregando.

Pregando soprattutto di notte. Perché la notte ci porta ad essere naturalmente più dolci, più buoni, più introspettivi. Così la chiave di risposta alle problematiche che gli venivano poste al mattino, lui la trovava nei Salmi con cui aveva pregato durante la notte. E Don Tonino, i suoi libri li ha scritti tutti di notte.

Ma preghiera era anche la sua vita con gli altri, preghiera era la sua fatica di pensare, la sua fatica di incontrare l’ultimo, la sua fatica di accettare di vivere pure in solitudine se necessario, la capacità di entrare in armonia con tutto il mondo, con tutte le persone, con tutte le cose e vivere questa armonia partendo dal Vangelo e finendo con il Vangelo.

Perché se Don Tonino lo si è conosciuto nelle piazze, nei cortei, nelle assemblee, in occasione di qualche sciopero o di altre occasioni della vita civile, il momento più bello, più importante, più decisivo è sempre stato l’assemblea domenicale della Santa Messa, quando lui, attraverso un’omelia, attraverso lo stile, l’eleganza, il portamento, che si coniugavano sempre con la semplicità e con la passione, riusciva a trasmettere il fascino struggente del Vangelo.

Lo stesso fascino trasmessoci anche da Don Camillo De Lazzari, il nostro Assistente spirituale diocesano, quando, durante la sua meditazione nell’omelia della Celebrazione Eucaristica conclusiva del ritiro, ci ha invitato a focalizzare la nostra attenzione su quello che chiamiamo il “giudizio finale”.

Allora il Signore guarderà attorno a noi, non attirerà l’attenzione su di sé, non attirerà l’attenzione su di noi, ma intorno a noi.

“Che cosa è successo intorno a te?
Ti ho dato una vita, ti ho dato un corpo, un’intelligenza, cuore e tanti altri talenti … Che cosa è successo intorno a te? Quante persone si sono sentite amate da te? Quante persone si sono sentite aiutate da te? Quanto bene è nato intorno a te?”

Queste saranno le Sue domande, perché il giudizio nasce da quel bene che è fiorito intorno a noi.

Lui non ci chiede di fare dei miracoli, ci chiede di fare poche cose, piccole cose.

Ad esempio, dinanzi ad un ammalato non ci chiede di guarirlo, ma semplicemente di visitarlo, dinanzi ad un assetato semplicemente di dargli un bicchiere d’acqua, dinanzi ad un carcerato non ci chiede di scarcerarlo, ma di visitarlo.

Basterebbe, talvolta, abbracciare il fratello, la sorella che ci è accanto. Noi tutti dovremmo essere “infuocati”, se non proprio come Don Tonino, almeno un po’. Spesso, però, la paura ci frena. La vergogna ci frena.

Con il nostro comportamento spento, con il nostro linguaggio mesto, col nostro tono di voce basso. Forse perché, tante volte, nelle cose che succedono e ci succedono neppure ci crediamo. Noi annunciamo molto spesso solo il Dio della morte e non anche il Dio della vita.

E quanto ha lottato, quanto ha faticato Don Tonino per accendere di passioni i cuori di quelle persone che ha incontrato. E noi, invece? … Forse dovremmo cambiare regime!

Che Cristo è risorto, che noi siamo chiamati a risorgere … sì, lo diciamo … ma ci crediamo? Ci crediamo che noi risorgeremo? E quando, quando arriviamo alla resurrezione?

Così, inebriati ed allo stesso tempo travagliati, senza quasi accorgercene, siamo arrivati, intanto, alle nostre case. Domande di vita, domande pesanti nel cuore, ma non solo quelle.

Lo sapeva Suor Chiara. Di pesante, questo ritiro ci ha donato anche … un mattoncino.

Sì, ora il nostro edificio spirituale ha un piccolo, grande, mattoncino in più!

*vice presidente diocesano per il Settore Adulti

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