Settore Giovani

Passione educativa è… accompagnare – #formazione

di Manuela Micaletto

Lo scorso 15 Ottobre si è tenuto presso il Seminario diocesano di Nardò il momento formativo unitario proposto dal Consiglio diocesano di Azione Cattolica.

In questa occasione, il Settore Giovani ha organizzato dei laboratori formativi per i responsabili e gli educatori dei gruppi giovanissimi e giovani, nei quali sono state analizzate e approfondite tre particolari tematiche: la creatività, la precarietà e l’accompagnamento.

In particolare, il laboratorio dedicato sull’accompagnamento ha analizzato quella che è la «sfida educativa» che i responsabili e gli educatori sono chiamati ad affrontare, partendo dall’icona biblica dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35).

Ciò che il racconto di Emmaus ci fa anzitutto capire è che l’educazione è un cammino: essa non avviene nel chiuso di una relazione esclusiva e rassicurante, decisa una volta per sempre, ma si pone nel rischio e nella complessità del divenire della persona, teso fra nostalgie e speranze, di cui è appunto figura il cammino da Gerusalemme a Emmaus percorso dai due discepoli e dal misterioso Viandante.

Al gruppo di educatori e responsabili del laboratorio vengono inizialmente proposte le vignette di Gibì e DoppiaW, i due simpatici pagliacci nati dalla matita di un educatore che cercava di aiutare un adolescente che attraversava un momento difficile: dalla riflessione su alcune di queste vignette si è partiti per riflettere sul significato del termine «ACCOMPAGNARE», facendo esporre a ogni singolo partecipante al laboratorio la propria considerazione riguardo questo tema.

Nel corso del dibattito tra gli educatori e i responsabili è emerso che una delle condizioni fondamentali per un buon «accompagnamento del giovane» riguarda la dimensione del tempo: occorre aver tempo per l’altro e dargli tempo, accompagnandolo nella durata con fedeltà, vivendo con perseveranza la gratuità del dono del proprio tempo. Chi ha fretta o non è pronto ad ascoltare e accompagnare pazientemente il cammino altrui, non sarà mai un educatore.

Tutt’al più potrà pretendere di proporsi come un modello lontano, alla fine poco significativo e coinvolgente per la vita degli altri. Si rifletteva che, come in ogni rapporto basato sull’amore, anche nel rapporto educativo il dono del tempo è il segno più credibile del proprio coinvolgimento al servizio del bene dell’altro. Abbiamo compreso così una seconda condizione necessaria a stabilire una vera relazione educativa, del tutto evidente nel racconto di Emmaus: occorre «camminare insieme». Prima che essere per l’altro, chi educa deve stare con l’altro: l’educazione avviene attraverso la condivisione, la comprensione e il dialogo.


Conclusa questa prima parte del momento formativo, ai responsabili e agli educatori viene proposta una domanda un po’ provocatoria, per accendere in loro il desiderio di interrogarsi sul proprio stile e il proprio atteggiamento di «accompagnatore del giovane»: Che tipo educatore sei?

Le risposte che vengono fuori sono diverse: c’è chi si sente amico, chi complice e ascoltatore, chi un aiuto e chi un fratello; tutto il gruppo risponde in modo dinamico, creando una rete di lana gialla con il gomitolo che, una volta data ogni singola risposta, viene lanciato da una persona all’altra, tessendo così un intreccio di fili che richiamano un po’ quella rete relazionale attraverso cui è possibile introdurre il giovane che ci è affidato alla pienezza della vita.

Ripresa la lettura del brano di Luca, si analizza che, come Gesù procede per tappe, si fa vicino, spiega le Scritture, alimenta il desiderio, si fa riconoscere e offre ai due discepoli l’annuncio di sé, della sua vittoria sulla morte, così l’incontro vissuto con ogni giovane esige di essere testimoniato.

La riflessione si concentra principalmente sull’attenzione che bisogna avere nell’accompagnare il giovane, sulla necessità di essere attenti a non creare dipendenze, ma suscitare cammini di libertà, in cui ciascuno viva la propria avventura al servizio della luce che gli ha illuminato il cuore. Si è d’accordo affermando che l’educazione ha raggiunto il suo fine quando chi l’ha ricevuta è capace di irradiare il dono che lo ha raggiunto e cambiato.

In conclusione, viene chiesto ai responsabili e agli educatori di sintetizzare su un bigliettino quella che può essere definita la “traduzione” del termine «ACCOMPAGNARE», alla luce delle riflessioni e considerazioni dell’intero pomeriggio vissuto insieme. Questo poi, diventa per loro il messaggio che reciprocamente si scambiano prima di lasciare la sala del laboratorio.

Insieme a loro quindi, è emerso che l’icona biblica di Emmaus ci consegna una definizione sintetica dell’azione educativa:

«EDUCARE» è «ACCOMPAGNARE» l’altro dalla tristezza del non senso alla gioia della vita piena di significato, introducendolo nel tesoro del proprio cuore e del cuore della Chiesa, rendendolo partecipe di esso per la forza diffusiva dell’amore. Chi vuol essere educatore deve poter ripetere con l’apostolo Paolo queste parole, che sono un autentico progetto educativo: “Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia” (2 Corinzi 1,24).

Sullo stile educativo di Gesù, quale emerge dal suo rapporto con i discepoli di Emmaus, dobbiamo esaminarci tutti, chiedendoci se e fino a che punto il nostro impegno al servizio dell’educazione sia fatto analogamente al suo. Facilmente il bilancio ci sembrerà perdente: ci conforta tuttavia il fatto di non essere soli. Dio – che ha educato il suo popolo nella storia della salvezza – continua a educarci e a educare: “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).

Non rinunciamo dunque a raccogliere la sfida educativa, qualunque sia il livello di responsabilità che ci è dato di vivere.

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