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Custodire l’unitarietà: storia di un giovane presidente parrocchiale – INTERVISTA

intervista

Il gruppo interparrocchiale “Frazione Cattolica” dei Giovani di Alliste, Racale, Taviano, per prepararsi alla Festa dell’Adesione ha voluto ascoltare l’esperienza di un presidente parrocchiale “giovane”, Tommaso Stefanachi, presidente parrocchiale dell’AC di Melissano. Chi meglio di un giovane presidente può raccontare come i giovani possono prendersi cura dell’unitarietà? A voi questa bella intervista.

D. Ciao Tommaso, ti abbiamo chiamato non da esperto ma da persona che ha fatto (e che fa) esperienza del curare l’unitarietà: come un giovane può vivere l’unitarietà? E nella comunità parrocchiale come essere protagonisti?

R. Ciao a tutti. La risposta è già nella domanda: un giovane può vivere l’unitarietà facendo esperienza. Il “fare esperienza” aduna in sé l’indispensabile: uno studio più accurato dei documenti volti a segnare in profondità l’identità di appartenenza alla nostra associazione; l’incontro, il confronto e il dialogo costruttivo con i “veterani”, coloro che per storia e formazione personale rappresentano le radici del nostro albero; il riversare quanto appreso ed esperito sui propri coetanei e i più piccoli, contagiando di passione nuova e fresca quei principi comuni e condivisi, che costituiscono il filo sacro che ci unisce e il cuore pulsante dell’unitarietà collettiva. La preparazione, l’apertura mentale, la disponibilità all’ascolto e al sacrificio, la perseveranza nell’impegno e l’umiltà garantiscono ciò che, per bellezza, ci rende davvero Giovani: l’essere protagonisti della nostra vita. E se la nostra esistenza è indissolubilmente legata a quella dell’Azione Cattolica, il sentirsi protagonisti è di casa. E la nostra casa più grande è la comunità parrocchiale: si è protagonisti per diversità e la diversità è sempre fonte di arricchimento. All’esterno, come al nostro interno, la soluzione migliore è molto simile: dialogo, ascolto e confronto per una prospettiva sintonica e un progetto armonioso che possa giovare ad alimentare fede e fiducia. Ciò è possibile, a patto che il tutto avvenga senza alcun pregiudizio culturale o personale. Questo, invece, è decisamente meno probabile.


D. L’unitarietà non è qualcosa che ha a che fare con la simpatia, ma è un atteggiamento radicato in Cristo. Come si può maturare nell’unitarietà superando le antipatie personali?

La mia esperienza da presidente nasce un po’ per caso, un po’ per necessità, in un contesto associativo che necessitava comunque di una scossa d’entusiasmo. Vi confesso di essermi ritrovato catapultato all’improvviso in una realtà più grande di me, della mia formazione, della mia maturità, ma di pari altezza all’amore, alla passione e alla gratitudine con cui da sempre – da 17 anni ormai – vivo la mia Seconda Famiglia, qual è per me l’Azione Cattolica.

Il punto di partenza, dunque, era piuttosto complicato, ma i sentimenti e le emozioni messi in campo hanno tamponato piuttosto bene quella fase iniziale di assetto e di studio. Quel particolare disegno predisposto dall’Alto per me ha voluto pure che entrassi da subito in sintonia con questa nuova responsabilità, esplicandone in modo pratico le sue funzioni attraverso la semplice, ma efficace metafora dell’equilibrista presentata dal cammino ACR dello scorso anno, “CIRCOndati di Gioia”. Le qualità peculiari di quel circense sono il coraggio, l’armonia e, appunto, l’equilibrio: i tre requisiti fondamentali per adempiere il fine ultimo assegnato alla funzione di presidente: l’unitarietà. “Il presidente parrocchiale è tessitore di relazioni aperte ad accogliere e vivere il dono della comunione. Questo significa curare continuamente le relazioni con tutte le persone della propria associazione, essere attento ad ognuno di loro, provare a comprenderne le difficoltà, i momenti negativi e quelli positivi, ponendosi accanto a ciascuno con discrezione e disponibilità”: in estrema sintesi, deve assicurare, con coraggio, l’equilibrio e l’armonia nei e tra i settori. Nel mio caso specifico, da inesperto e, agli occhi di alcuni, troppo giovane per soddisfare al meglio tali funzioni, non è stato semplice in avvio liberarmi da questi luoghi ideologici comuni, non dettati assolutamente da alcuna antipatia personale, bensì dalle fondate e naturali perplessità iniziali e dalla consequenziale mancanza di fiducia.

Proprio in questo aspetto la mia associazione necessitava di ninfa entusiastica: ed è col sorriso, il sacrificio, la preghiera, lo studio e la passione che ho richiesto ed appreso i loro consigli, col dialogo e l’ascolto, camminando insieme in un percorso di crescita etico-morale individuale e collettiva, in un’esortazione reciproca a “fare come gli alberi, cambiando le foglie e conservando le radici: ovvero cambiando le idee, ma conservando i principi”. Qualcosa – credo di poterlo affermare con cognizione di causa – si muove in questo senso e oggi mi sento benevolmente accolto, più maturo e formato, cosparso di fiducia: CIRCOndato di gioia unitaria.


D. È più facile immedesimarsi nella vita di un bambino/ragazzo/giovanissimo perché comunque lo siamo già stati. Ma come si fa ad essere compagni di viaggio degli adulti verso i quali spesso e volentieri noi giovani siamo fortemente critici?

R. È certamente più facile confrontarsi e conformarsi ai bisogni e alle realtà simili dei coetanei e più giocose e divertenti dei ragazzi o dei bambini. Ma è al contempo affascinante porsi alla scoperta di un mondo verso cui, giorno dopo giorno, tendiamo noi giovani. È stato ed è bello e inatteso, in questo percorso di ricerca, rilevare negli adulti aspetti creativi e originali di cui mai avrei potuto lontanamente ipotizzarne l’esistenza.

Tuttavia non è semplice viaggiare insieme, o meglio è possibile farlo, ma gradualmente: come in tutte le relazioni vere supportate da legami sinceri e leali, è inevitabile una previa conoscenza approfondita del modus operandi e cogitandi dell’adulto. Coglierne la maniera di agire e di pensare facilita indubbiamente quel venirsi incontro, frutto di confronto. L’apertura mentale, libera di preconcetti, assicura l’opportunità di costruire un rapporto fidato. È questa stessa la difficoltà percepita, affrontata e – mi auguro – superata dall’inizio della mia esperienza annuale ad oggi. Una lotta al pregiudizio reciproco che, per quanto mi riguarda, ha avuto un risvolto inatteso e impronosticabile, quasi sconvolgente: abbiamo più difficoltà noi giovani a farci adulti nell’instaurare un confronto proficuo e sereno con l’adulto, piuttosto che gli adulti a farsi giovani nella condivisione di un viaggio fatto di mete nuove e svecchiate. In poche parole, restando nella dinamicità della metafora: l’adulto, pur con paura, si fida in minor tempo a salire a bordo di un aereo agile e veloce; il giovane, pur con audacia, non sempre è ben disposto a scoprire i vantaggi di un treno senz’altro più lento, ma intensamente ricco di esperienza e di valori. Il mio consiglio è di non soffermarci mai all’apparenza delle persone: ognuno di noi dispone di un tesoro da condividere e di un viaggio da vivere.


D. Capita di avere discussioni e incomprensioni con gli assistenti. Come fare per vivere un rapporto fruttuoso e fecondo?

R. Discussioni e incomprensioni sono ordinarie e naturali in un contesto democratico. Divengono fondamentali, soprattutto le prime, nell’ambito di un percorso di formazione ed educazione delle coscienze come il nostro.

Come il presidente ha la funzione di garantire equilibrio e armonia nel proprio ambiente di rappresentanza, così all’assistente di AC è affidata un’autorità – indubbiamente più difficile e impegnativa – che esige un porsi davanti agli altri. Il “porsi davanti” è quello del fratello che porge la mano ad altri fratelli. L’assistente, che nella maggior parte dei casi coincide con la figura del parroco, si configura a maggior ragione come un circense equilibrista, che garantisca la sinergia di gruppo all’interno della propria comunità parrocchiale, e per ovvi motivi, con e tra le associazioni.

La collaborazione tra servi di Dio e della Madre Chiesa è l’essenza stessa dell’essere cristiano e, in termini più pratici, il nostro statuto associativo si fonda a partire da questo principio: è vitale una collaborazione energica e attiva con la gerarchia. Essere cristiani, ma pur sempre esseri umani ed imperfetti, e in quanto tali, discussioni e incomprensioni fanno parte della nostra natura. L’utilità di questi particolari momenti va ricercata nella costruttività, che esiste se da ambo le parti vige stima, rispetto e fiducia reciproca. Ciò permette di vivere un rapporto fruttuoso e fecondo: ben vengano le vocazioni differenti e le diverse visioni della situazione, ma occorre sempre risaltare un concetto suddetto: diversità e alternative arricchiscono le coscienze cristiane, non creano divisioni umane. Se c’è equilibrio, non c’è confusione nelle esperienze e nelle discussioni, ma solo uno spazio equo per tutti e una comunità in vera comunione.

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