ACR

Chiamati a comunicare vita

di Mimmo Ferilli*

Il campo per Responsabili ACR si è svolto ad Alberi/Meta di Sorrento (NA) dal 4 al 8 Agosto 2017. Il tema è stato: “CHIAMATI A COMUNICARE VITA (EG 83) – L’ACR per la chiesa dell’Evangelii Gaudium”. Come indicato dal Responsabile Nazionale Luca Marcelli nella relazione introduttiva, si è trattato di rileggere la nostra proposta formativa alla luce di E.G. riflettendo su come, a partire dall’azione cattolica, si possa dare concretezza alle intuizioni di E.G. nelle nostre chiese particolari.

L’esortazione Apostolica di Papa Francesco è stata quindi al centro delle relazioni ascoltate e dei laboratori che si sono svolti nei giorni del campo. In particolare l’assistente generale e il presidente nazionale hanno tracciato strade nuove su cui intraprendere con entusiasmo un cammino condiviso.

Il primo giorno abbiamo ascoltato la relazione dell’assistente generale dell’ACI Mons. Gualtiero Sigismondi dal titolo: “Serve una chiesa che…”.

Il vescovo ha riletto l’E.G. declinando, quasi come un’antifona questa espressione. La caratteristiche tracciate da S.E. sembrano sicuramente lontane da quelle che contraddistinguono oggi la nostra chiesa. Ma una chiesa che vive in pienezza la propria missione deve essere consapevole della necessità di rinnovarsi entrando nella storia per portare la luce di Cristo. Così serve una chiesa che abbia “Passione Cattolica” e cioè:

  • Serve una chiesa “in costante atteggiamento di uscita” per incontrare quanti si sono allontanati;
  • Serve una chiesa consapevole di essere un popolo di poveri, pronta a combattere la miseria.
  • Serve una chiesa che sia la casa di tutti. Una chiesa fatta di pastori pronti a camminare con il popolo a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro;
  • Serve una chiesa che sappia riconoscere il bisogno di Vangelo che è presente ovunque;
  • Serve una chiesa pronta a vivere una stagione evangelizzatrice più fervorosa e gioiosa, più generosa e contagiosa;
  • Serve una chiesa capace di discernere i mezzi pastorali adeguati per affrontare le sfide attuali con la luce e la forza che vengono dal Vangelo;
  • Serve una chiesa capace di camminare insieme, perché la sinodalità è la migliore espressione della collegialità;
  • Serve una chiesa che abbia memoria del futuro, poiché il suo domani abita sempre nelle sue origini.

Noi protagonisti di questo tempo non possiamo sicuramente rimanere indifferenti a queste parole e come membra vive della chiesa siamo chiamati a fare la nostra parte per rendere più coinvolgenti le nostre comunità.

Il secondo giorno ci ha fatto visita il presidente nazionale Prof. Matteo Truffelli. Con lui siamo scesi nella realtà associativa cercando di rileggerla alla luce di alcuni suggerimenti di Evangelii Gaudium (120-121). Abbiamo aperto gli orizzonti e fissato gli obiettivi a cui ciascuno di noi e l’associazione deve puntare per migliorarsi. In particolare si è soffermato su quattro dimensioni: quella del discepolo-missionario, della formazione, del protagonismo e della popolarità. I primi due aspetti sono stati analizzati dal punto di vista dell’educatore: l’educatore missionario è colui che ha fatto esperienza dell’amore salvifico di Dio e lo restituisce agli altri. Non ha bisogno di molto tempo di preparazione: il discepolo sente l’urgenza di farsi tale. E’ missionario anzitutto attraverso la propria vita, attraverso la capacità di essere testimone. Non è una questione di nozioni da trasmettere, di avere un bagaglio da consegnare ad altri; ma significa condividere con gli altri, creare una relazione di cura con i ragazzi. E’ importante che l’educatore sappia di essere discepolo: deve scoprire e riscoprire continuamente la bellezza dell’amore ricevuto lasciandosi sempre evangelizzare dagli altri, anche dai più piccoli.

In merito alla Formazione occorre innanzitutto abbandonare il concetto del “si è sempre fatto così” e avere il coraggio di rimettersi in discussione. Ripensare oggi la formazione significa costruire una proposta che sia più impregnata di missionarietà. Occorre partire dalla vita dei ragazzi e ritornare alla vita dei ragazzi valorizzando sempre di più il metodo esperienziale che va’ proprio nella direzione dell’essere discepoli-missionari; occorre nutrire questo percorso formativo di cura spirituale che è cura della “vita”; occorre prendere consapevolezza di far parte di un’associazione e che quindi siamo chiamati a camminare con gli altri; occorre riprendere il progetto formativo e rileggerlo alla luce di Evangelii gaudium.

Con gli ultimi due aspetti siamo passati ad analizzare in maniera più generale l’aspetto associativo. La vita associativa, infatti, favorisce il protagonismo. In associazione tutti portano la propria responsabilità. L’associazione ci insegna ad ascoltare gli altri e questa è la premessa per esprimere il nostro protagonismo. Bisogna avere l’accortezza di proteggere i luoghi e le modalità in cui far emergere questo protagonismo.

L’associazione infine deve mantenere la caratteristica della popolarità non perché siamo affezionati ai numeri ma perché vogliamo dare a tutti la possibilità di vivere un’esperienza straordinaria. Bisogna far sentire le persone realmente accolte nell’associazione per quello che sono e non per quello che vorremmo che fossero. E questo significa essere un’associazione che perde del tempo per ascoltare la vita delle persone.

Nel pomeriggio della domenica abbiamo vissuto un percorso di spiritualità e aiutati dall’assistente nazionale, don Marco Ghiazza, abbiamo riflettuto e interiorizzato l’icona biblica dell’anno. La lectio di don Marco è stata bella e ricca di spunti in particolare per noi che ci diciamo “impegnati” nella cura degli altri. Anche davanti agli scribi siamo chiamati a chiederci: “ti somiglio?”. Somigliamo agli scribi quando amiamo le lunghe vesti, che al tempo di Gesù, servivano a mostrare la dignità di una persona credendo che la nostra sicurezza risieda in qualche segno esteriore(titoli, incarichi, ruoli). Somigliamo agli scribi quando cerchiamo i primi posti. Somigliamo agli scribi quando trasformiamo la collaborazione in complicità: condividiamo la responsabilità non perché ci si possa dare vicendevolmente ragione ma perché ci si sostenga, ci si sproni, ci si incoraggi a fare meglio, perché si abbia la gioia di raccontarci qualcosa della nostra fede così da arrivare a testimoniarla insieme. Dobbiamo stare attenti a non farci attrarre dai questi ricchi che nel tesoro gettano del loro superfluo. Anche noi diamo molto spesso del nostro superfluo e solo la cura della nostra vita interiore, la fedeltà alla nostra relazione con Dio sono l’antidoto per il superfluo. Non è la quantità a preoccupare il Signore: a noi sempre pronti a lamentarci perché mancano i locali, mancano gli strumenti, perché le guide sono o troppo difficili o troppo banali Gesù ricorda che bastano due monete se raccontano il dono di una vita. Non si tratta di rinunciare agli strumenti ma di ricordare che sono le persone a fare la differenza. Inoltre non è la quantità a colpire il Signore ma la gratuità di quel gesto. La gratuità è la meta di ogni relazione educativa. Gesù ci chiede di fare come la vedova e donare tutta la nostra vita per assomigliare sempre di più a Lui che ci ha donato tutto se stesso. Ed è questa totalità che oggi ci spaventa; ma di fronte alla vedova dobbiamo dire che la totalità non è il problema ma la soluzione, perché solo vivendo pienamente le nostre relazioni, il nostro impegno potremo dire di aver vissuto in pienezza la nostra vita.

La Professoressa Antonia Chiara Scardicchio ci ha permesso di approfondire la domanda di vita ma in particolare ci ha aiutato a riflettere su quanto, molto spesso, siamo presuntuosi nello svolgere il nostro compito di educatori. Riconnetterci alle nostre domande di vita ci aiuta ad avvicinarci alle domande di vita dei ragazzi. Il nostro pensare di sapere nei confronti dei bambini, ma in generale anche degli altri, non ci permette di sapere niente altro al di fuori di quello che già sappiamo. Per questo dobbiamo imparare a stare accanto agli altri con curiosità: la curiosità è l’atteggiamento di chi è in ricerca, di chi non capisce e cerca. E questo presuppone ascolto e molta umiltà. Noi invece nella relazione educativa molto spesso ci poniamo con l’atteggiamento di chi ha la risposta giusta ai problemi. La nostra postura nella relazione educativa non è quella di chi mette il bambino in primo piano ma quella di chi mette prima se stesso con la nostra presunzione di sapere e con la nostra capacità di avere la risposta a tutti i problemi. A noi educatori hanno insegnato che dobbiamo sempre dare delle risposte. Invece dobbiamo porci accanto ai bambini e ascoltarli. L’ascolto è la postura dell’ignorante, di chi sa di non sapere. Se si è in questa postura la comunicazione ha l’obiettivo di conoscere gli altri. Nell’educazione dei bambini non dobbiamo dimenticarci che essi hanno bisogno di essere visti e più ancora hanno bisogno di sentirsi accolti. Sentirsi accolti per quello che sono: a prescindere. Molto spesso qualcuno ci mente perché ha paura di deluderci, perché sa che non siamo pronti ad accoglierlo. Nella crescita del bambino crediamo molto spesso, per un equivoco di protezione, che molte cose gliele dobbiamo nascondere. Il nostro desiderio è togliere il dolore dalla vita dei bambini. Dobbiamo invece essere in grado di presentare loro la realtà in una forma che sono in grado di accogliere. Utilizzando un linguaggio simbolico. Per questo attraverso il gioco riusciamo a far capire tante cose della realtà ai bambini. Dobbiamo essere capaci di far cogliere agli altri la bellezza del loro essere. E’ vero che l’essere umano ha un valore in sé ma non ce ne facciamo niente se non c’è qualcuno che gli dà questa bella notizia.

Nella relazione finale il responsabile nazionale ci ha spronati a mettere da parte Alibi e Ragioni che molto spesso accompagnano il nostro servizio. Infatti troviamo sempre degli alibi per il nostro disimpegno perché è la via più semplice oppure abbiamo sempre delle buone ragioni per prendercela con tutti e lavorare da soli. Per “comunicare vita” dobbiamo necessariamente pensarci tutti sulla stessa barca dando valore alla corresponsabilità che ci caratterizza come associazione.

*responsabile diocesano dell’Azione Cattolica dei Ragazzi

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