Fai rumore

La famiglia: “gabbia” da cui evadere o presidio insostituibile?

di Giorgio Maggio*

La famiglia d’origine è sembrato che costituisse, per molti giovani delle generazioni più recenti, una sorta di trappola dalla quale svincolarsi il più presto possibile. Un qualcosa che comprimesse la libertà nei termini più ampi e, in tal modo, limitasse la possibilità di esprimersi in modo più compiuto, persino, in quella creatività solitamente più presente in un giovane.

Così, la “liberazione” da essa è stata, spesso, conseguita con la frequenza di corsi universitari fuori sede oppure svolgendo attività lavorativa lontano dalla propria regione di residenza in Italia o all’estero.

Condizione, questa, gradita in nome della conquista di quella “libertà” che consente una pressoché totale autodeterminazione e che rende accettabile la contropartita costituita dall’onere di dover provvedere in proprio a tutte le incombenze prima svolte dai genitori.

Nella quasi totalità dei casi, questa situazione dà ragione ai desiderata delle nuove generazioni in quanto favorisce una loro più rapida presa di coscienza e capacità di autogestione, decisamente utile anche nella prospettiva dello sviluppo di una propria famiglia.

Tutto ciò, in condizioni definite “normali”.

Ma, se qualcosa fuoriesce dai canoni della normalità, dalle situazioni ormai classificate come routinarie e, quindi, non direttamente sperimentate, come reagisce un giovane “affrancato” dalla famiglia d’origine?

È quasi sistematico – ed è del tutto naturale – il confidente ricorso ai genitori, ritenuti, nella circostanza, il più valido supporto anche di fronte a situazioni oggettive di rilevante complessità. Ricorso che diviene un efficace antidoto già in relazione alle ansie generate dalla nuova imprevista situazione.

Queste considerazioni, forse, non possono essere direttamente applicate a quanto abbiamo osservato, nei giorni scorsi, con riferimento al frettoloso rientro a casa di tanti giovani residenti in luoghi lontani dalla propria famiglia, ma, probabilmente, possono costituire uno spunto di riflessione per quanti sono ancora stabilmente inseriti nel proprio nucleo familiare, vagheggiando un esodo non imposto dalle circostanze.

Per cui, al di là di quanto affermato all’inizio, cosa spinge realmente un giovane a vivere lontano dalla propria famiglia? Quali esperienze che non possano essere vissute nel proprio ambiente d’origine mancano alle nuove generazioni?

Queste sollecitazioni, e magari molte altre, potrebbero essere utili per un dibattito nei nostri gruppi giovanili.

* Amministratore diocesano, Presidente parrocchiale AC di Tuglie

 

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